Che “lingua” parla la scuola?

Non mi accadeva più da tempo. Ho sempre cercato di evitare contatti diretti con la “scuola”. Per scuola (sempre tra virgolette) intendo quella organizzazione farraginosa costellata di circolari, norme, disposizioni e protocolli che fanno paura a qualsiasi altra forma di complessità burocratica pensata per ottenere nulla. La vedo proprio come un mosaico casuale, sul quale ogni esperto incompetente mette la tessera che vuole, dove vuole, e non importa da dove l’ha presa. Alla fine, come per una macchia di Hermann Rorschach, qualcuno la interpreta. Stupendo.

Naturalmente una macchina complessa organizzata per produrre nulla – utilizzando il progetto più complicato e complesso mai elaborato – ha bisogno di creare e adottare un “linguaggio” proprio. Un linguaggio sovra esteso che, mai come in questo caso, serve esclusivamente per regolare il comportamento umano altrimenti non comprensibile. Tradurre e ridurre ad uno i linguaggi che ogni incompetente ha utilizzato. Gran bel lavoro.

Se non sai cosa produrre – e soprattutto renderlo impossibile da realizzare – è ovvio che devi inventare e discutere in qualche modo come produrlo. Ci vogliono le “istruzioni per l’uso”. Sicché. E’ come salire su una navicella spaziale progettata per andare su Marte e cercare di fare un giro di pista della base di lancio. Un gran bel “trip”, davvero.

All’interno di questa organizzazione c’è, vive, l’uomo. L’umano la gestisce e la manda avanti… sempre sulla pista si intende. Dirigere una struttura costantemente appesantita da frottole verbali e dai relativi responsabili nominati per ricoprire questi ruoli non è facile. Un lavoro fortemente usurante. Ma non è tutto. Ahimè.

Voi sapete o potete bene immaginare, cosa accade quando un organismo umano viene “isolato” all’interno di un perimetro mentale ristretto che, fisicamente, ricorda le dimensioni di una cella di sicurezza e forzato a: non pensare, immaginare, dialogare, scoprire, sperimentare, inventare, sorridere, risolvere. Tutto ciò – o meglio quel poco – che arriva al cervello dai 5 sensi viene, lentamente, alterato, distorto, diventando costante ossessione e relativa compulsione. Una realtà virtuale spacciata per reale. Usare a lungo quella lingua coniugata solo in forma “direttiva”, rigida, senza possibilità di eccezioni, senza alcuna plasticità conduce a serie compromissioni comportamentali prima e neurologiche dopo. In poco tempo la deprivazione del contatto con la realtà conduce ad una forte compromissione del sistema nervoso centrale: la punizione più atroce che un essere umano può ricevere. Un crimine dell’uomo sull’uomo? No, si tratta di eroi immolati per mantenere l’istituzione.

Il 75% delle risorse umane a disposizione, l’energia vivente, viene utilizzata per mantenere in vita questa “istituzione” fondamentale per una Nazione politicamente importante, orientata al futuro vuoto, come la nostra.

Ma, come in ogni favola, ci sono i cattivi e i guai. E ti pareva. Come ogni altra organizzazione sociale serena, utile ed amata, amministrata in maniera impeccabilmente intoccabile cova, tra le sue fila, gruppi, spesso disorganizzati e sparsi, di ribelli. Dissidenti.

Sono pochi, circa il 25 – 30 % non di più, ma riescono a neutralizzare o quantomeno arginare ed ostacolare (a volte anche a eludere o impugnare) le dure (ma sacre) leggi che regolano la selezione “genetica” (cioè naturale) del sapere, della conoscenza. Ribelli, contestatari, irriducibili e soprattutto pericolosi. Molto pericolosi. Potremmo dire sovversivi. Sicuramente.

Si mimetizzano, in maniera efficientissima, tra gli altri simili; non mettono un solo particolare fuori posto. Nulla. Si mescolano e confondono eludendo anche i body scanner. Un vero e proprio pericolo per la scuola. Può presto diventare allarme. Non si sa mai.

Infatti da qualche tempo – grazie a nuove intuizioni ministeriali – si cerca di infiltrare, tra le fila di questi ribelli, soggetti più giovani, sotto copertura, ai quali hanno fornito dei falsi documenti (laurea), una falsa identità (esperti) ed un addestramento di sopravvivenza (esaltati e convinti). Talvolta però questi infiltrati vengono smascherati per le loro evidenti qualità, difficili da nascondere: incapaci. Un autogol del sistema… che si può migliorare.

A causa o per colpa di questo esiguo ma efficientissimo 30% di persone, molti utenti (condannati all’obbligo) riescono a superare lo “sbandamento”, la demolizione sociale e la demotivazione culturale programmata cui vengono avviati – con l’aiuto di istituzioni collaterali deviate – poco prima dell’adolescenza. Diventano bravi e si distinguono per l’amore verso la conoscenza. Un insulto, un affronto per quegli impiegati impegnati a seguire pedissequamente i programmi (ovvero andare avanti) e cercare di interpretare al peggio (secondo le personali esigenze) le disposizioni e soprattutto lasciare che la zavorra affondi. Sembra facile.

Dopo aver presentato l’ambiente in cui mi sono imbattuto, vorrei raccontarvi la mia breve esperienza: un breve dialogo con un rappresentante autorevole che vive, opera, in una delle basi del meridione. Al suo fianco un tirocinante; apprendista della raffinata arte della selezione. Giovane ma con una buona conoscenza della (loro) lingua. Ecco cosa accade e cosa si rischia quando non sei padrone della lingua della scuola.

Sala di un liceo. Lui è di matematica; Io è il sottoscritto ed il Servo è un impiegato specializzato nulla facente (solo tre ore settimanali).

Lui: Buongiorno lei è il padre?

Io: No, non sono il padre.

Lui: Che titolo ha?

Io: Nessuno, sono arrivato al diploma. Ho lavorato all’estero ed aiuto il ragazzo a fare gli esercizi di inglese.

Lui: Il problema che abbiamo col ragazzo è chiaro, lei ne conviene?

Io: Non saprei, mi spiace non mi intendo di scuola. Qual è il problema?

Lui: Parliamoci chiaro: il ragazzo è segnato, non ce la fa; pensi che non sa la differenza tra equazione ed espressione?

Io: capisco perfettamente. E’ indietro (penso che adesso neanche io mi ricordo la differenza).

Lui: Capisce? Mi dica: come faccio adesso che dobbiamo passare ai Radicali.

Io: Perbacco, certo sarà un problema (gli unici radicali che ricordo sono quelli della rosa nel pugno).  Suggerisce di fargli prendere delle lezioni private?

Lui: No, mi spiace forse lei non ha colto bene la gravità, questo ragazzo può fare solo la differenziata.

Io: (sbianco e mi sistemo sulla sedia, allento la sciarpa, faccio cenno col labbro e oscillo il capo come a dire “si” con qualche perplessità)

Lui: Il ragazzo è stato adottato… (dice accompagnando la gravità sventolando il dito indice della mano); viene dalla Romania… (agita allo stesso modo il l medio); non è  integrato… (muove singhiozzando sull’anulare, con anello nuziale, e scandendo le sillabe).  Ci serve la differenziata. Non c’è altra soluzione.

Io: Scusi professore, non riesco a cogliere il significato di “differenziata”, a cosa si riferisce?

Lui: Si riferisce ad una programmazione differenziata.

Io: Differenziata cioè da quella “ufficiale”, quella normale? Diversa.

Lui: Si diversa, ridotta. Consideriamo che il ragazzo è ad un livello di seconda, terza elementare. Non di più.

Io: Se non sbaglio ha frequentato tutte le classi qui in Italia. Mi scusi il termine differenziata è suo?

Lui: No. E’ una definizione del Ministero della pubblica istruzione.

Io. Oh si capisco, il Ministero. Si, una volta il termine era “classi differenziali”, oggi è “differenziata”.

Lui: No. Mi scusi lei non si può permettere; sono cose completamente diverse. Questo non glielo permetto.

Io. Beh si mi scusi non conosco la normativa. In effetti, lo confesso, ho pensato che differenziata si riferisse alla raccolta; mi sembra più in linea con il concetto di rifiuti.

Lui: Buon giorno, felice di averla conosciuta. (Si alza e schizza via, senza guardarmi).

Io: (mi alzo lentamente, indosso i guanti, aggiusto la sciarpa. Penso che nulla è cambiato anzi. Il servo si alza, premuroso, e tenta una spiegazione in termini ministeriali. E’ convinto di farcela: deve salvare il suo posto di lavoro).

Servo: In effetti si tratta di valutazione differenziale è l’articolo 15, comma 5, dell’Ordinanza Ministeriale…

Io: Si ho capito: l’umido in un contenitore e la carta in un altro. E’ chiaro. La ringrazio. Buon giorno.

Servo: (balbettante) …è nell’interesse del ragazzo. Io sono l’ins … (ma io, maleducatamente indignato ero già fuori).

Renato Gentile

Curare la crescita II: infanticidio educativo

segue

Dexter Morgan

Dexter Morgan (Photo credit: FRKZARTZ)

Impegnarsi a curare la crescita di un bambino significa che non è possibile agire improvvisando, farlo nei ritagli di tempo, con l’umore sbagliato e senza considerare le conseguenze delle proprie azioni. Anche se non si conoscono i progetti da perseguire in relazione all’età ed alle esigenze dello sviluppo umano, non è possibile disattendere le naturali attenzioni affettive e le normali interazioni pedagogiche. Il nostro cervello, per sopravvivere ha il fondamentale bisogno di stabilire relazioni con gli altri. La nostra specie è sopravvissuta soprattutto perché siamo riusciti a formare gruppi sociali cooperativi. Da qui, ed in seconda battuta, riemerge l’importanza del linguaggio come strumento di istruzione.

Molti usano il linguaggio come strumento di distruzione. Spesso sono tentato a pensare che sarebbe meglio che molti genitori rimanessero in silenzio piuttosto che aprire la bocca e spingere l’aria sulle corde vocali per fare uscire il peggio della frustrazione che vivono riversandola sul proprio figlio. Il “danno” che producono, sul momento non si vede ma sarà presto visibile; ripararlo costerà molto più di un momento di attenzione.

Come parliamo ai bambini? Lo ribadisco: male.

La cosa che l’uomo fa con molta semplicità, naturalezza, direi con spontaneità è parlare. Lo si può fare con tale facilità al punto che non è necessario “pensare”. Basta aprire la bocca e i pensieri escono da soli senza sforzo mentale. Parliamo per chiudere un discorso, non per avviarlo. Lo so sembra paradossale. Parliamo e non ci riguarda se chi ascolta dirà qualcosa; non ci interessa. Siamo talmente abituati a parlare per “affermare” qualcosa che lo facciamo anche con la nostra automobile quando ha difficoltà a mettersi in moto o col nostro computer quando rallenta nel caricare i programmi. Parliamo.

Il problema è proprio questo: mentre un’auto o un computer non ascoltano un bambino ascolta e, ahimè capisce; avverte – anche se è piccolo e non comprende i termini – il tono di rimprovero, il tono polemico, di critica, di ironia, di umiliazione, di dissenso etc. e questo lo prostra. E non poco; lo allontana dalla interazione e lo esclude. E’ possibile non comprenderlo? Ed anche se è difficile capirlo non sarebbe giusto accettare questo dato e cercare di stare in silenzio invece di inveire?

Dovremmo proporre di emanare un decreto legge.

Si. Ho molti dati. Troppi. E la cosa mi duole. I genitori inveiscono contro i figli; non parlano con i figli. E’ frustrante dover ripetere, dire, “annunciare” (nel 2013) che il linguaggio è il veicolo principale dell’educazione umana, che serve a modellare strutture come il cervello, i tratti psicologici della personalità e le dimensioni affettive, cognitive ed emotive. Spesso mi sento nel medio-evo; mi vedo a dover spiegare, sostenere e difendere che la Terra che gira intorno al sole. Il guaio (ma direi il dolore) è che qualcuno, nel 2013, mi condannerebbe volentieri, e secondo lui a buon diritto, come eretico. Qualcuna lo ha fatto (ndr).

Naturalmente i bambini imparano soprattutto quel che vivono. Quel che viene loro fatto “vivere”, sperimentare, attraverso il linguaggio è davvero sconvolgente. Pesante. Basterebbe mettersi nei panni del bambino in quel momento per comprendere quanta paura ed insicurezza si va formando e non ci vuole la veggente per sapere che presto un adolescente cercherà un motivo di affermazione. Non c’è bisogno di attendere che qualcuno diventi serial-killer per comprenderlo. E non c’è nemmeno bisogno che la TV ci mandi un esperto, fashion, da salotto a spiegarcelo.

Cosa è emerso? Ho registrato dati che mi permettono di ipotizzare che nel linguaggio utilizzato da taluni genitori manca il rispetto; dai toni, dal contenuto delle frasi e dagli elementi (aggettivi) di commento emerge una totale mancanza di rispetto verso un essere vivente ancora indifeso. Eppure i media si affannano a sbandierare e difendere i diritti civili delle persone (adulte) ma dei nostri figli non si curano per nulla. Falsi moralisti.

Manca, forse, la responsabilità; molti genitori non mi sembrano responsabili dell’educazione dei figli. I bambini mi sembrano verbalmente maltrattati. E’ sufficiente osservare molti adolescenti per comprendere che non è il gruppo sociale che li ha “spinti” a determinati stili culturali ma la carenza di cure parentali e di educazione familiare. Di riferimenti. Siamo responsabili di una riproduzione in massa di un modello culturale scadente che ha pochi decenni di vita. Ciò significa che non abbiamo fatto alcun progresso culturale, civile e sociale negli ultimi 20-25 anni. Non è una stasi ma un vero e proprio regresso. Non abbiamo avuto capacità educative.

Nella maggior parte del campione osservato non ho visto entusiasmo nell’atto educativo ma neanche nella relazione giornaliera, naturale, tra genitore e figlio. Non ho letto amore né gioia nelle parole, nei toni e nei termini utilizzati ma un atteggiamento costante di arroganza. Facilmente osservabile o altrettanto deducibile, è la dimensione di ignoranza in cui l’interazione nasce (è nata) e si muove. Il genitore sta riproducendo il modello educativo che ha ricevuto; il bambino non viene guidato da spiegazioni ma sottoposto a critiche, giudizi e commenti come se dovesse sapere, per definizione genetica, cosa fare e come fare.

Un esempio per tutti; raccolto un mese fa. Una madre passeggia col figlio, lo tiene per mano, lei parla al cellulare. Il bambino guarda le vetrine, cerca di guardare perché la madre quasi lo trascina seguendo il ritmo della concitazione telefonica. Il piccolo inciampa, non ha visto una mattonella dissestata; quasi cade ma la mano della madre lo regge. Si sbilancia un po’ in avanti e la madre ha un momento di difficoltà a mantenersi in equilibrio. Si ferma, lo guarda, quasi lo fulmina, non allontana il telefono dall’orecchio ed esclama: “hai visto quanto sei stupido? Stai attento”. Ecco, è solo un esempio. Ne ho, ahimè, una infinità.

Come farà questo bambino a diventare sicuro di sé, ad avere una buona autostima, a non temere il giudizio altrui ed a controllare l’ansia se la madre (il genitore) lo tratta così? Cosa significa “stai attento?”. Vi lascio questo compito per casa; potete farvi aiutare da qualche operatore della mente se volete. Naturalmente la madre, in altri contesti, successivi, lo coccolerà; darà al figlio quello che lui chiede – anche se non può permetterselo – magari utilizzando modalità poco adeguate (ad esempio piangendo o urlando) perché, forse, si sentirà in colpa. E così tutto torna in pari? Per nulla al mondo. Fermatevi a riflettere prima che vi venga in mente di pensare che vorreste che vostro figlio/a debba diventare vostro/a amica.

“E tutto questo cinematografo verrebbe fuori solo perché parlo male a mio figlio?”.

Si, è molto probabile.

Il silenzio degli occhi

Presentazione del mio primo libro; qualche anno fa.

P.S.  I video a seguire non mi appartengono; you tube li “richiama” in automatico. Scusate il disguido.

E qui una bellissima intervista “a voce” su carta virtuale, firmata Melo Mafali.

http://www.itarantolati.it/index.php?option=com_content&view=article&catid=36%3Aarte-e-cultura&id=120%3Aintervista-a-renato-gentile-il-silenzio-degli-occhi&Itemid=62

Woodstock

Woodstock (Photo credit: Wikipedia)

10 things that makes Human special

Speech

The larynx, or voice box, sits lower in the throat in humans than in chimps, one of several features that enable human speech. Human ancestors evolved a descended larynx roughly 350,000 years ago. We also possess a descended hyoid bone – this horseshoe-shaped bone below the tongue, unique in that it is not attached to any other bones in the body, allows us to articulate words when speaking.

Upright Posture

Humans are unique among the primates in how walking fully upright is our chief mode of locomotion. This frees our hands up for using tools. Unfortunately, the changes made in our pelvis for moving on two legs, in combination with babies with large brains, makes human childbirth unusually dangerous compared with the rest of the animal kingdom. A century ago, childbirth was a leading cause of death for women. The lumbar curve in the lower back, which helps us maintain our balance as we stand and walk, also leaves us vulnerable to lower back pain and strain.

Nakedness

We look naked compared to our hairier ape cousins. Surprisingly, however, a square inch of human skin on average possesses as much hair-producing follicles as other primates, or more – humans often just have thinner, shorter, lighter hairs.

Hands

Contrary to popular misconceptions, humans are not the only animals to possess opposable thumbs – most primates do. (Unlike the rest of the great apes, we don’t have opposable big toes on our feet.) What makes humans unique is how we can bring our thumbs all the way across the hand to our ring and little fingers. We can also flex the ring and little fingers toward the base of our thumb. This gives humans a powerful grip and exceptional dexterity to hold and manipulate tools with.

Extraordinary Brains

Without a doubt, the human trait that sets us apart the most from the animal kingdom is our extraordinary brain. Humans don’t have the largest brains in the world – those belong to sperm whales. We don’t even have the largest brains relative to body size – many birds have brains that make up more than 8 percent of their body weight, compared to only 2.5 percent for humans. Yet the human brain, weighing only about 3 pounds when fully grown, give us the ability to reason and think on our feet beyond the capabilities of the rest of the animal kingdom, and provided the works of Mozart, Einstein and many other geniuses.

Clothing

Humans may be called “naked apes,” but most of us wear clothing, a fact that makes us unique in the animal kingdom, save for the clothing we make for other animals. The development of clothing has even influenced the evolution of other species – the body louse, unlike all other kinds, clings to clothing, not hair.

Fire

The human ability to control fire would have brought a semblance of day to night, helping our ancestors to see in an otherwise dark world and keep nocturnal predators at bay. The warmth of the flames also helped people stay warm in cold weather, enabling us to live in cooler areas. And of course it gave us cooking, which some researchers suggest influenced human evolution – cooked foods are easier to chew and digest, perhaps contributing to human reductions in tooth and gut size.

Blushing

Humans are the only species known to blush, a behavior Darwin called “the most peculiar and the most human of all expressions.” It remains uncertain why people blush, involuntarily revealing our innermost emotions. The most common idea is that blushing helps keep people honest, benefiting the group as a whole.

Long Childhoods

Humans must remain in the care of their parents for much longer than other living primates. The question then becomes why, when it might make more evolutionary sense to grow as fast as possible to have more offspring. The explanation may be our large brains, which presumably require a long time to grow and learn.

Life after Children

Most animals reproduce until they die, but in humans, females can survive long after ceasing reproduction. This might be due to the social bonds seen in humans – in extended families, grandparents can help ensure the success of their families long after they themselves can have children.

Renato Gentile

Huff Post Science

Bambini e Stress (genitore correlato)

La vita espone i nostri figli a molte sfide. Le dovranno superare da soli, con le loro forze; non possiamo proteggerli contro tutti i pericoli. Vorrei però porre l’attenzione su uno dei fattori (pericolosi) più diffusi tra le mura domestiche: lo stress indotto.

In quanto genitori abbiamo il dovere di gestire la nostra ansia ed eliminare, radicalmente, la tensione che creiamo, inconsapevolmente ai nostri figli quando siamo concentrati (o distratti) sui nostri problemi quotidiani. Talvolta rispondiamo in maniera poco adatta alla richiesta del nostro piccolo ed il più delle volte non riflettiamo su ciò che abbiamo detto. Come se non lo avessimo ascoltato o preso in considerazione. Molte madri mi parlano di questo modo, inconsapevole, di agire.

Bene, se capiterà provate a mettervi nei panni del vostro bambino e considerare ciò che avvertono, che provano, sentono, quando ricevono una determinata risposta. Provate questo esercizio: cosa ho trasmesso al suo cuore? Entrate nelle sue scarpe per un attimo. Vi sarà tutto chiaro sul “da farsi” anche se so che vi mancheranno le parole. La nostra cultura non ci insegna cosa e come dire. Negli Stati Uniti invece tale cultura è molto sviluppata anche se non tanto diffusa.

Prendete in considerazione i sentimenti del vostro bambino e abbiatene rispetto e cura. Il genitore deve essere un “luogo” sicuro per un bambino; un luogo dove poter andare a ripararsi, chiedere supporto e sostegno quando il mondo  diventa troppo “pericoloso”. Le tensioni, lo stress, sono un pericolo per i bambini.

Anche una risposta può essere vissuta come un ostacolo che blocca il cammino emotivo di un bambino. Non bisogna pensare che le tensioni provengano soltanto dai forti cambiamenti del panorama familiare.

Certo, alcuni eventi, come ad esempio un trasloco, la nascita di un fratello o l’inizio della scuola materna sono momenti intensi ma non sono certo “traumatici” di per sé ma potranno essere vissuti o trasmessi come tali od esserlo davvero se li caratterizziamo da (ipotetiche) tensioni. Spesso siamo noi a “visualizzare”, dare corpo, ad indurre un’ansia da separazione.

Essere pazienti ed attenti (porsi le domande giuste) aiuterà il vostro bambino a sentirsi sicuro e protetto e voi a provare meno “sensi di colpa“.

Bambini & Filosofia

I bambini in età di scuola materna sono pronti ad imparare a “fare filosofia”. Questa affermazione sconvolge sempre il pubblico durante i miei interventi sull’educazione. Attenzione, non sto dicendo che bisogna far loro lezioni di filosofia, anche se la cosa non mi suona banale, ma fare filosofia insieme a loro. La stimolazione verbale può spingersi verso questi orizzonti: è una realtà.

I bambini si muovono bene nell’affrontare le sfide dell’etica, della logica e delle relazioni. Non sto parlando di alcuni bambini, degli enfant prodige o dei whizkids ma dei nostri bambini, quelli che vediamo tutti i giorni a casa nostra. Quindi non si tratta di insegnare o inserire una nuova materia scolastica ma di utilizzare un nuovo strumento per “governare” contenuti e sviluppare abilità molto più importanti delle informazioni: il pensiero.

Tutti i bambini sognano, immaginano, creano, inventano; il pensiero infantile non è relegato a quelle 4 squallide fasi di sviluppo, cui li ha costretti una “misera pedagogia” che si studia ancora nei corsi di laurea in psicologia disattendendo una letteratura sperimentale da capogiro. Il pensiero infantile è un “oceano”, un vasto territorio da esplorare. Un pensiero privo soprattutto di ipocrisia, preconcetti e di imbarazzo.

Come sempre esiste qualcuno e qualcosa che limita, ostacola e soffoca la crescita – lo sviluppo – dei nostri figli: alcuni adulti ed i loro pregiudizi che sono niente più che luoghi comuni.

P.S. Mi chiedono di menzionare almeno un “luogo comune”. Riferisco il più diffuso ed ahimè anche il più letale: i bambini devono giocare.